La prevenzione del rischio sismico e la riqualificazione del territorio. Una grande questione dimenticata

Il nostro è un paese sismico, ma sembra non saperlo. Se ne ricorda solo quando il terremoto lo colpisce. Negli ultimi 40 anni, a partire da quello del Belice del 1968, i terremoti hanno provocato in Italia circa 4.500 vittime ed una spesa di circa 150 miliardi di euro (dati Protezione civile). L’unica azione efficace per difendersi dai terremoti è mitigarne le conseguenze, con interventi di prevenzione consistenti principalmente nel far sì che gli edifici siano costruiti e soprattutto restaurati in modo da resistere alle scosse sismiche, per risparmiare vite e limitare danni che spesso sono più onerosi delle misure di prevenzione.

Dopo il terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009, è stato emanato un provvedimento per finanziare interventi per la prevenzione del rischio sismico su tutto il territorio nazionale, grazie ad un apposito fondo.

La cifra complessiva ammonta a 965 milioni di euro per gli anni 2010 – 2014, ma rappresenta solo una minima percentuale, forse inferiore all’1%, del fabbisogno che occorre per conseguire il completo adeguamento sismico di tutte le costruzioni, pubbliche e private, e delle opere infrastrutturali strategiche.

Deve perciò esser fatto un deciso salto di qualità negli stanziamenti, nella pianificazione degli interventi e nella crescita di una cultura di prevenzione antisismica da parte della popolazione e degli amministratori pubblici, verso una cultura non più basata sull’emergenza, ma fondata sugli investimenti di prevenzione per il patrimonio pubblico e privato.

L’obiettivo generale deve essere quindi di progettare, costruire, ricostruire e, ove possibile, restaurare e manutenere, secondo le norme e misure tecniche antisismiche appropriate alle caratteristiche di ciascuna zona. Si deve passare da una cultura principalmente basata sull’emergenza ad una fondata sugli investimenti di prevenzione nel patrimonio edilizio pubblico e privato.

Un tale obiettivo comporta profondi cambiamenti e decise innovazioni negli indirizzi politici di settore, peraltro già da tempo proposte e rivendicate dalle associazioni sindacali e imprenditoriali interessate, quali:

1) una politica di programmazione del territorio, orientata alla riqualificazione e alla valorizzazione del patrimonio paesaggistico, artistico e culturale con una forte minimizzazione, una sorta di opzione zero la promozione di uno sviluppo edilizio fondato su criteri di efficienza, legalità e qualità; per quanto riguarda nuovi insediamenti in aree agricole  e non ancora urbanizzate.
Un simile indirizzo di politica territoriale avrebbe numerosi vantaggi:
Ridurre finalmente il consumo di suolo agricolo utilizzato per nuovi e spesso inutili insediamenti in zone inedificate.
Ridurre quindi la impermeabilizzazione artificiale dei suoli che determina il convogliamento improprio delle acque con aumento dei fenomeni franosi.
Ridurre le spese a carico dei comuni per portare verso l’esterno e le periferie tutte le linee di alimentazione e rifornimento (luce, telefono, gas, strade, trasporti pubblici, igiene urbana, ecc.)
Ed infine, da ultimo, perfettamente congruente con il nostro tema, concentrare le risorse urbanistiche e soprattutto edilizie sul restauro/recupero/manutenzione/miglioramento di quanto già edificato con particolare attenzione all’adeguamento antisismico di edifici pubblici e privati

2)  l’attuazione di politiche di rigenerazione urbana e la realizzazione di un programma di opere di presidio piccole e medie, che sappia, da un lato, assicurare la salvaguardia ambientale e, dall’altro, integrare e propagare i benefici delle grandi infrastrutture a rete, garantendo un effetto positivo e diffuso sull’economia nazionale, con la garanzia della reale disponibilità delle risorse finanziarie e l’utilizzo di strumenti finanziari innovativi;

3)  un processo di sostituzione edilizia per la demolizione di edifici obsoleti e di scarsa qualità e la loro ricostruzione secondo criteri di sicurezza e risparmio energetico, attraverso premi volumetrici e detrazioni fiscali;

4) un potenziamento delle strutture preposte all’attività di controllo soprattutto in materia di verifica delle caratteristiche statiche degli edifici, di sicurezza e regolarità del lavoro.

In queste settimane, in cui della casa si parla – a proposito e a sproposito – solo della sua tassazione, facciamo appello alle forze politiche e alle Istituzioni territoriali e al Paese tutto, per costruire un percorso comune e condiviso capace di cogliere questi obiettivi.

  “DA FARSI”

PER METTERE IN SICUREZZA IL PAESE CONTRO I TERREMOTI

1 – Avviare un piano di riqualificazione e manutenzione programmata per valorizzare e mantenere in efficienza il patrimonio edilizio pubblico e privato, concorrendo alla maturazione di un processo di consapevolezza individuale e sociale di tale necessità.

2 –Verificare lo stato dell’arte delle conoscenze tecniche e scientifiche e sostenere un loro costante sviluppo, ai fini di una aggiornata mappatura antisismica per mettere in sicurezza il territorio.

3 – Attuare una vigilanza attiva, costante e rigorosa sull’applicazione delle norme costruttive antisismiche e sulla qualità dei materiali impiegati.

4 – Indirizzare e promuovere da parte pubblica una maggiore diffusione dell’applicazione della normativa di buona tecnica e del costruire a regola d’arte.

5 – Riformulare e rendere efficace il Piano nazionale antisismico, attraverso:
a) la verifica della resistenza antisismica dei fabbricati pubblici e privati;
b) la creazione di condizioni affinché gli enti locali possano operare celermente per attuare il piano;
c) l’adeguamento dei finanziamenti secondo un piano pluriennale e una relativa scala di priorità.

6 –  Un indirizzo nazionale per la predisposizione di piani locali di emergenza sismica e la programmazione di comunità degli interventi di prevenzione antisismica.

7 –  Attuare una campagna nazionale per la promozione di una cultura della prevenzione antisismica.

8 –  Mettere in atto provvedimenti di fiscalizzazione/defiscalizzazione nonché politiche tariffarie sugli oneri di urbanizzazione che rendano largamente conveniente per tutti gli investitori e i costruttori, pubblici e privati, il recupero e la riqualificazione delle aree già urbanizzate piuttosto che la realizzazione di nuove costruzioni in aree libere.

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